Ippolito di Euripide nella nuova traduzione dal greco di Michele Napolitano, con la regia di Michele Suozzo.
Ippolito è la prima tragedia pervenutaci sulla passione di Fedra per il figliastro Ippolito. Fedra qui si uccide accusandolo. Ippolito, che muore colpito dalla maledizione paterna, viene scagionato dalla dea Artemide.
Lo spettacolo è frutto della collaborazione tra il gruppo La chambre magique e il Conservatorio di Frosinone.
Darà l’opportunità di assistere s una tragedia greca con gli stupendi cori cantati e “agiti” con musiche e coreografie appositamente composte. Autori delle musiche, studenti della classe di composizione del Maestro Luca Salvadori, del Conservatorio di Frosinone: Giorgio Astrei, Antonino Caracò, Ruben Doda, Massimiliano Piscitello, Lorenzo Sorgi.
Durata: 120′ senza intervallo.
La compagnia prevede:
Voce di Afrodite: Elena Fiorenza
Ippolito: Luca Barreca
Fedra: Maria Luisa Zaltron
Nutrice: Aline D’Andrea
Corifea: Fulvia De Thierry
Teseo: Mauro Giosi
Messaggero: Guido Targetti
Voce di Artemide: Antilena Nicolizas
Donne di Trezene: soprani
Michela Becciu, Giorgia Bruno, Chiara Diletta Marini
Compagni di Ippolito:
Leonardo Attimonelli, Luca Forte, Matteo Maraviglia, Giuseppe Sinisi, Mattia Tassi
Impianto scenico e luci: Marco Guarrera
Costumi: Annalisa Di Piero
Movimenti coreografici: Laura Salvi
Acconciature e trucco di scena: Sergio Tirletti
Ensemble strumentale:
Valeria Desideri, flauto traversiere
Barbara Dias e Marco Mauro, clarinetti
Silvia Dell’Agnolo e Giuseppe Scotto Galletta, corni di Bassetto
Francesco Parente e Antonello Rubini, violoncelli
Coordinatore: Rodolfo La Banca
Al pubblico radiofonico Michele Suozzo è noto da una quarantina d’anni, almeno, per le molte trasmissioni di successo da lui ideate e condotte, dedicate, principalmente, alla musica e in particolare all’opera. Persino celebre ormai, non solo tra gli appassionati, ‘La Barcaccia’, che, in onda da quasi trentacinque anni, anche se, in origine, con titoli diversi da quello acquisito più tardi e tuttora vigente, ha rappresentato, e rappresenta ancora, con straordinaria vitalità, un tentativo di approccio al mondo dell’opera che potrebbe dirsi persino scanzonato, se non proprio irriverente, se non fosse per la conoscenza profonda della materia che Suozzo, insieme a Enrico Stinchelli, suo compagno di avventura, dispiegano, quanto si voglia tra le righe e col sorriso, di puntata in puntata.
Suozzo, che ha insegnato storia della musica in molti conservatori italiani, è adesso docente presso il Conservatorio ‘Licinio Refice’ di Frosinone, che ha ospitato, come ricordavo in apertura, la messinscena di Ippolito della quale qui si tratta. Ma Suozzo, oltre che autore radiofonico di successo e storico della musica, è da tempo anche regista militante. Numerosi i teatri che, a partire dal 2004, hanno ospitato suoi allestimenti registici: a Roma il Teatro Francese del Centro San Luigi di Francia, il Teatro dei Conciatori, il Teatro di Villa Torlonia, i Giardini della Filarmonica, il Teatro Palladium; a Milano, il Teatro Out off. E poi la Chiesa di San Giovanni dei Genovesi a Roma e Palazzo Pisan a Venezia. Non meno folto il regesto degli autori messi in scena da Suozzo: Voltaire, Racine, Goldoni, Molière, Sartre, Nijinsky, Ovidio, Poe, D’Annunzio, Pasolini, Gozzi, Wilde, Satie, Euripide.
Fu Michele, nel 2019, a contattarmi per chiedermi di tradurre Ippolito per la regia che progettava di allestire. Per me, che conosco Michele da una quarantina d’anni, fu una splendida occasione per riannodare un rapporto che negli anni si era allentato. Dopo avermi affidato il lavoro di traduzione alle sezioni recitate della tragedia, Michele mi chiese di lavorare a quattro mani alle parti corali: il che facemmo nel corso di una serie di pomeriggi caldissimi del luglio 2019, con molto divertimento e altrettanto piacere. Quando il progetto era ormai giunto a un buon punto di elaborazione, lo scoppio della pandemia giunse a interromperlo. Ripresa in mano all’inizio della scorsa estate, la traduzione è giunta rapidamente in porto: in tempo per le recite di fine settembre. Pochissimi i tagli: le due rappresentazioni hanno così portato al pubblico la tragedia nella sua interezza, salvi, appunto, dettagli minimi, omessi per non appesantire oltre misura lo spettacolo, anche in termini di durata temporale.
Tra i tratti distintivi del progetto immaginato da Michele spicca senza dubbio l’idea di affidare le sezioni corali della tragedia a un terzetto di soprani: Michela Becciu, Giorgia Bruno, Daniela Rotondi. La forte riduzione del numero delle coreute rispetto all’assetto originario, insieme alla scelta di disporre le cantanti davanti a leggii, obliterando del tutto la dimensione orchestica, pur sacrificando in misura non trascurabile la verisimiglianza filologica della restituzione, ha però garantito alle parole del coro un grado di riconoscibilità che la resa cantata e l’accompagnamento musicale non hanno in alcun modo compromesso. Le musiche di accompagnamento ai cori sono state appositamente composte da allievi dei corsi di composizione del Conservatorio: della Classe di Composizione di Luca Salvadori, per la precisione. L’accompagnamento musicale è stato fornito, di nuovo, da allievi del conservatorio: un piccolo ensemble, costituito da strumenti a fiato e da un violoncello, coordinato da Rodolfo La Banca.
La trasparente semplicità delle linee di canto e dell’accompagnamento, memore, forse, delle partiture composte per Siracusa da alcuni dei protagonisti del Novecento storico italiano, ha contribuito in modo decisivo alla scabra essenzialità dello spettacolo. Per quanto io non abbia avuto parte attiva nell’allestimento di questo Ippolito, le cui linee portanti ho dunque scoperto, per ciò attiene alla messinscena, assistendo alla rappresentazione (quella di sabato 24 settembre, per la precisione), la regia di Suozzo mi è parsa perfettamente in linea con quanto avevo cercato di rendere, della tragedia, traducendola in italiano.
Se il teatro di ricerca in questi ultimi decenni ha saputo offrire letture spesso illuminanti del patrimonio tragico greco, persiste tuttavia, nelle messinscene di tragedie, il cattivo costume di inquadrare le rese all’interno di cornici che insistono fin troppo spesso sul versante dell’enfasi, sacrificando al pathos generico del grido, e dunque all’effetto, quasi ogni altra componente dello spettacolo, prime tra tutte, inevitabilmente, le partiture verbali. La regia di Suozzo, nella sua persino austera, severa compostezza, mi è parsa invece capace di garantire al lavoro degli attori e delle attrici uno scenario quanto mai adatto a fare emergere ciò che davvero conta, nei nostri tragici, e più che mai in Euripide: la parola, il ragionamento, tanto nelle grandi tirate monologiche quanto nei confronti dialogici, che nell’Ippolito hanno un’importanza tutta particolare. E che quasi ogni sillaba riuscisse comprensibile, persino, come si è detto, nella resa delle sezioni corali, è certo conseguenza, quanto mai benvenuta, ritemprante, anzi, del certosino lavoro di preparazione, tanto intelligente quanto, appunto, pignolo, che il regista ha svolto con i membri della sua compagnia. Chi conosce Suozzo sa bene, d’altronde, quanto egli consideri decisiva, nei cantanti d’opera, la sensibilità a una dizione chiara e distinta del dettato verbale. E certo non mi ha stupito il fatto di trovare, al mio arrivo a Frosinone, una sorta di piccolo programma di sala contenente, insieme ai dettagli relativi al cast, il testo delle parti corali, che il pubblico ha potuto così seguire parola dopo parola: un’idea, ottima, che non si spiegherebbe senza tenere in conto la diuturna consuetudine che il regista di questo Ippolito intrattiene da sempre con i libretti d’opera.
In linea con la regia le prestazioni di attori e attrici: tutti bravissimi nell’assecondare con sagace, accorta misura lo scavo sulla parola, nella parola, che Suozzo ha voluto mettere al centro della sua resa registica. E bravi, brave, anche, però, nel garantire presenza scenica, credibilità, forza espressiva. Così l’ottima Fedra di Maria Luisa Zaltron, l’Afrodite di Angelica Cacciapaglia, l’Ippolito di Luca Barreca. Ma bene anche il Teseo di Mauri Giosi e l’Artemide di Gledis Cinque. Una menzione speciale merita, infine, la nutrice di Rosa Maria Tavolucci: attrice consumata, perfetta, tanto nei lunghi, tesi dialoghi con Fedra quanto nel lungo monologo che segue, nella tragedia, alla celebre rhesis rivolta da Fedra alle donne di Trezene, nel restituire il tono di persuasiva, insinuante, paziente, complice intesa che la nutrice assume nei confronti della padrona per cercare una cura al suo male: finendo, come ognun sa, per perderla.