La storia di un’assassina che, dopo una catena di delitti, si muove fra ulteriori seduzioni e rinnovati inganni, avvicinandosi anche all’idea di una possibile redenzione. Maria Paiato trasforma questo racconto in una partitura infinita di coloriture interpretative, aggiungendo questa figura femminile alla galleria delle tante donne composta in anni e anni di teatro. «È una favola come tale l’ho trattata, sfruttando le sue innumerevoli possibilità di paura, di suspense, di comicità, di ironia, di musicalità. Il mio intento, il mio gusto è stato quello di fare come Marie: costruirvi intorno una tela magica, una trappola per farvi cadere nelle mie braccia di ragno. Ma tranquilli. Il mio è solo un gioco. Però per giocare si deve far sul serio». Il titolo del racconto è: “L’Avvelenatrice” di Eric Emmanuel Schmitt ed è tratto dal libro di racconti: “Concerto in memoria di un angelo” edizioni “e/o” E’ una favola. Perché della favola ha il carattere di insegnamento, la struttura di parabola che concede la redenzione. Ma è una favola nera perché la protagonista, Marie Maurestier, è stata accusata di tre omicidi. Non si sa come sia potuto accadere ma questa donna dura, saccente e decisamente brutta ha sotterrato tre mariti che l’hanno sposata per amore e che, a quanto pare, sono stati un ottimo investimento viste le eredità di cui poi ha potuto godere. Contro di lei nessuna prova ma per tutti è certamente colpevole. Dopo una breve detenzione cautelativa la Giustizia si è vista costretta a restituirle la libertà e il processo ha avuto come unico risultato di renderla famosa in tutta la Francia, tanto che il piccolo paese in cui vive è diventato meta di turisti che cercano lei, vogliono sapere di lei, sperano di vederla. Vent’anni sono passati da quei terribili giorni di accuse e contro accuse ma la piccola comunità di Saint Sorlin en Bugey vive tutt’ora inquieta sotto l’impressione di un maleficio che Marie ostenta consapevole e spavalda. Chi la incontra per strada o dal fornaio ammutolisce, abbassa lo sguardo nel timore di incontrare i suoi occhi che brillano penetranti e cattivi. Ma è anche una favola torrida, dalle atmosfere torbide che si consumano nella tensione erotica dei corpi sudati nell’angusto spazio del confessionale perché, da quando in paese è arrivato il nuovo giovane e affascinante prete Gabriel, la vita di questa donna è scossa da una potente energia vivificante. Marie si fa beffe dei suoi settant’anni e della sua fisicità rinsecchita e senza grazia e nemmeno per un momento la sfiora l’idea che tra loro si impone il muro della diversità sociale. Marie si innamora perdutamente di Gabriel e lo vuole! Ad ogni costo! Con il corpo, con l’anima e con il cuore. E per averlo escogita un piano, costruisce una trappola giocando da vera maestra le armi dell’affabulazione (perchè l’ho detto, è una favola), stringendo d’assedio l’incauto prete con la lentezza, la pazienza e la concentrazione di un velenosissimo ragno. E in questa danza che prende e lascia, che avvicina e allontana, l’angelico Gabriel e la diabolica Marie finiscono per fondersi, per promettersi l’impossibile; la redenzione, seppur nella scomodità di alcune condizioni, sembra certa, a portata di mano e noi ci sentiamo confortati da quello che sembra un lieto fine. Ma poiché questa è una favola che ha scelto di essere vera, le ultime pagine capovolgono tutto il castello. Nessun lieto fine, solo un ritorno amaro, come il veleno appunto, alle iniziali condizioni di delitto perfetto e ambizioni personali. E’ una favola vi dicevo e come tale l’ho trattata, sfruttando le sue innumerevoli possibilità di paura, di suspense, di comicità, di ironia, di musicalità. Il mio intento, il mio gusto è stato quello di fare come Marie: costruire una tela magica, una trappola incantata nella quale perdere il senso della realtà.