È una fortuna poter lavorare con artisti che abbiano una lunga e articolata storia artistica.
Questo è il caso sia di ÉTOILE che di STAR.
Il corpo di un artista che si esibisce dal vivo è un corpo che si estende nella ricerca, è un corpo consapevole di senso (e di dissenso), capace di allertare i sensi, di perturbare.
Dopo una lunga vita sulla scena- quando l’equilibrio del danzatore si fa precario e le ossa sporgono come rami in cerca di luce e non ci sono più virtù e giovinezza da esibire- si va all’osso appunto, si indaga il piccolo, il sottile, l’inenarrabile, si evocano i fantasmi di una vita e si desidera danzare come mai si sarebbe immaginato. È questo il desiderio.
Se metti insieme la lunga vita di un artista, più la storia che desidera incarnare (o il fantasma che cerca di evocare), viene fuori una terza storia: il suo umano ritratto.
Serve una storia che faccia la grazia di nascondersi, una drammaturgia che rispetti l’intelligenza del pubblico e che non suggerisca chiavi di lettura, serve che l’artista sia presente, che in scena indaghi attimo per attimo tempi e forme, affinché l’amato pubblico possa immaginare l’indicibile, vedere l’invisibile, sentire quel che un attimo prima ancora non c’era, ognuno sarà così libero di evocare i propri fantasmi.
Talvolta ci si confonde.
Penso di addormentarmi su una stella e mi risveglio in una stalla. È realmente successo, il successo?
Ci si confonde.
Dove mi metto? Dove sto?
Non è mica uguale se sto qua o se sto là.
Se metto un piede qui, sono dentro o sono fuori?
Vediamo se piove.
Un piede lì.
Piove.
Una mano là.
Piove anche qua.
Piove fuori, piove dentro ma non saprei dire qual è il dentro e qual è il fuori. Non distinguo tra en dehors e en dedans.
Sono un’étoile cadente? Lo spettacolo senza eguali di una stella che muore? Così -allegramente- meco ragiono e dico fra me pensando:
se cado non sono una stella, tutt’al più una fiammata, un detrito di passaggio.
A rimirar le stelle ci si confonde, così meco ragiono:
di tutto questo girar senza posa, cosa rimane?
A che tante facelle? Che fa l’aria? Finisce? È finita?
Rimane solo che piove?
Talvolta, coi miei quattro pensieri e le mie tante ossa,
a rimirare il cielo sto.
Fuck! Il bicchiere non si stacca, non si stacca.
Concludo che il bicchiere non si stacca.
E ora che ho concluso, che cosa ho concluso?
Balletterò un po’. Un ballettino fra me e me.
I’m great. I’m a tiger. Grrrr. E dopo che ho ruggito? What now? Toh!
Guarda un po’ cosa si nasconde nelle mie mutande: una caramella. La mangio tutta tutta la caramella e la carta mi incarta,
non si stacca non si stacca!
Che far? Come Star? Star bene o star male? Nel dubbio faccio un balletto. E quanti dialoghi amazing faccio fra me e me. Rido tantissimo. Tantissimo. Con tutto il corpo rido. Tantissimo. Fa quasi male.
Star dentro o fuori? Star in or out?
Esco. Mi avvicino a voi. Avvicino le tante ossa delle mie mani, porgo il mio lungo scheletro.
Posso star così vicina a dire quel che danzo o a danzare quel che dico? Think about it people.
Fuck people.
You are out people.
I’m great.
Talvolta.