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Endangered Species è un progetto solista in continuo divenire: iniziato nel 1988 con il titolo di Electric Rags, nel tempo si è evoluto rispondendo ai luoghi e ai contesti nei quali viene di volta in volta eseguito, oltre che alle possibilità espressive offerte progressiva- mente dalle nuove tecnologie musicali. Attingendo da uno sconfinato repertorio di circa tremila file audio registrati nell’arco di oltre sessant’anni, poi processati da un campionatore midi e suonati con un pianoforte a coda, Alvin Curran genera una performance musicale spontanea e sempre nuova: «Quelle di Endangered Species sono storie sonore raccontate in un linguaggio che ho inventato pensando a persone, luoghi, canzoni, cose, eventi, macchine, musiche, animali, stanze, cieli, arie e sogni…, a volte senza pensare a nulla. Ogni performance è una nuova storia raccontata in tempo reale, con gli stessi suoni essenziali, lanciati come un artista che dipinge ad affresco, configurati di volta in volta e in ogni momento con la durata imprevedibile della propria energia creativa». (A. Curran)
INGRESSO GRATUITO
La performance di Alvin Curran Endangered Species e la tavola rotonda Attorno ad Alvin Curran. Traiettorie e luoghi della sperimentazione a Roma, tra arti visive e ricerca sonorasono organizzate nell’ambito del progetto PRIN PNRR ASE – Art Sound Environment: Towards a New Ecology of Landscape. Il progetto si propone di analizzare il rapporto tra arte, suono e paesaggio nelle ricerche artistiche italiane dagli anni Sessanta a oggi, con particolare attenzione agli interventi processuali, installativi e partecipativi, realizzati all’aperto, sovente in luoghi decentrati, periferici e marginali della penisola. In Italia mostre collettive come Parole sui muri (Fiumalbo, 1967), Un paese + l’avanguardia artistica (Anfo, 1968), Arte povera più azioni povere (Amalfi, 1968) e Campo urbano (Como, 1969) hanno avviato nuove strategie espositive, collocando l’esperienza artistica in una prospettiva orizzontale, a stretto contatto con la natura, con lo spazio urbano e le comunità. Più tardi, la specificità dell’intervento sonoro in relazione all’ambiente è messa a fuoco con maggiore consapevolezza in mostre come Sonorità prospettiche (Rimini, 1982) e più recenti festival come Liminaria (2014-). In un simile contesto, dove la sperimentazione artistica e sonora si incrociano, Alvin Curran occupa un ruolo di primo piano già a partire dagli anni Sessanta, quando si stabilisce a Roma e fonda, con Franco Cataldi, Steve Lacy, Fredric Rzewsky e Richard Teitelbaum, il gruppo Musica Elettronica Viva. Raccogliendo l’eredità di John Cage, le performance del MEV includono i suoni concreti dell’ambiente; il pubblico stesso assume un ruolo attivo e diventa parte integrante dell’esecuzione museale, in un modo non dissimile da quanto sperimentato negli stessi anni dallo Zoo di Michelangelo Pistoletto, con cui infatti il MEV collabora. Da questa esperienza seminale, Curran proseguirà una ricerca musicale che sempre più privilegia il rapporto con l’ambiente e con i suoni della natura, ma anche il ricorso a oggetti comuni, utilizzati come strumenti non convenzionali. L’integrazione dell’ambiente nella composizione musicale diventa possibile anche grazie alla pratica di registrare suoni e rumori, per la quale Curran sfrutta inizialmente il nastro magnetico. Una pratica che prosegue tutt’ora e che ha prodotto un nutrito archivio di suoni del mondo che confluisce in opere come Endangered Species. È soprattutto dagli anni Ottanta che si intensifica nella pratica di Curran la sonorizzazione spaziale, attraverso performance e installazioni site-specific: da Maritime Rites che, dalla prima versione al Laghetto di Villa Borghese (1980) con musicisti in barca, è stata replicata in tutto il mondo arrivando a far suonare anche le sirene di grosse navi, fino alle sonorizzazioni di siti archeologici, come Nora, in Sardegna, (Nora Sonora, 2005) e le romane Terme di Caracalla (Omnia Flumina Roman Ducunt, 2018) e di ambienti naturali dal sapore preistorico come la Cava di pietra di Matera (Tufo muto, 1990) e il parco dell’Etna (Conversazioni geologiche, 2007).